Il 14 dicembre entro a passi lenti e solenni, avvolta dal profumo dell’incensiere che ho tra le mani, dentro la navata della chiesa di S Daniele a Lonigo, uno dei luoghi a me cari, dove il Signore si è fatto incontrare agli inizi di questo Sì. Mi accompagnano gli sguardi di tante persone, mi attrae verso l’altare quello di Dio Padre, la sua promessa di vita.
Mi sono sempre piaciute le immagini, i quadri, i colori, perché esprimono il mio animo artista e creativo, ma soprattutto perché l’immagine dice “oltre le parole” e mi permette di fermare il tempo, fissare i dettagli e ringraziare per ciò che ho di fronte. L’immagine, che ho scelto per raccontare qualcosa di questo “per sempre” è quella di una donna che incontra Qualcuno; si trova di fronte a un Dio che si fa accanto, si pone alla pari, che l’accoglie così com’è, non giudicandola e facendola sentire amata.
Ho vissuto a Lonigo (in provincia di Vicenza) per 31 anni, con una famiglia che mi ha riempita di affetto, esempi, valori e instillato il “pensiero di Dio”.
Ho frequentato l’Azione Cattolica, ho fatto la catechista, ho seguito gruppi missionari alla ricerca di un posto, che fosse su misura per me. La professione di infermiera, che ho esercitato per otto anni, sembrava conciliare il mio senso pratico e il desiderio di stare accanto ai più fragili, nel dolore della malattia, che appiana le differenze culturali, economiche e sociali, ma ancora l’inquietudine non smetteva.
Un’estate ho deciso di ascoltarmi fino in fondo, di fare qualcosa solo per me dando ascolto alla mia passione di camminare, insieme al bisogno di spiritualità, così ho partecipato alla marcia francescana. È stata questa l’esperienza che mi ha fatto incontrare il volto di un Dio, che non era solamente sui libri o fatto di devozioni, miracoli e frasi recitate a memoria: è stato l’incontro con una Persona a cui stare di fronte, come l’immagine che ho descritto all’inizio. In quella marcia ho incontrato lo sguardo di una donna, una suora, e di altri fratelli e sorelle, che mi hanno fatta sentire amata con tutte le mie fragilità e imperfezioni. Ho continuato a cercare quel volto nella famiglia francescana frequentando la Gioventù Francescana e poi seguendo il percorso delle 10 parole, un cammino in cui la Parola di Dio è diventata sempre più viva e concreta, tanto da trasformarmi piano piano.
La frase del Vangelo: “Li amò fino alla fine” (Gv13,1), ha iniziato a lavorarmi dentro al punto da mettermi in movimento alla ricerca di un perché e per Chi, che desse senso alla mia vita e che la mettesse in gioco fino in fondo. Sentivo forte questo amore del Signore nella famiglia che mi ha donato, nei fratelli e sorelle che mi aveva fatto incontrare, nei colleghi del lavoro, nella bellezza del creato che mi circondava e urgeva il bisogno di restituire tutto questo in qualche modo. Un amico frate mi ha fatto incontrare di nuovo le Suore Francescane dei Poveri dopo la marcia e così ho scelto di vivere con loro un tempo di discernimento presso il Centro giovanile a Roma, lasciando il lavoro, la famiglia e gli amici. È stato un taglio difficile, perché ho rinunciato a qualcosa di bello e prezioso per un incerto che, però, intuivo sacro e urgente. Lì ho incontrato il volto di Gesù nei poveri, presso i servizi che svolgevo, nei fratelli e sorelle che, per svariati motivi, erano feriti nel fisico e nell’animo e avevano perso il senso per cui vivere, un rifugio, la stima, un appoggio fraterno. Ho capito che non ero così diversa da loro, che avevo le mie povertà e soprattutto che mi salvavano continuamente dal mio “tanto”, riconducendomi all’essenziale della vita: amare e lasciarsi amare come Lui ci ha amati.
Il come l’ho capito grazie a Madre Francesca, la nostra fondatrice, e alle sue figlie, riconoscendo la mia vocazione di donna, di figlia di un Re e di persona libera, affidata a quel Padre, che è sempre pronto ad accogliermi ogni giorno del mio cammino, un passo o un sì alla volta.
“Parlate ed agite come persone che sono giudicate da una legge di libertà”: questa parola oggi accompagna il mio passo. Sento che i tanti viaggi fatti, le molte persone incontrate, le sospensioni, le fatiche, le sorprese che questa vita mi ha donato, sono tutte servite per rendermi sempre più libera amante.
Diventi quello che respiri, chi frequenti ed è alla scuola del Signore, il libero amante per eccellenza che, nella gratuità dei tanti doni da lui ricevuti, imparo a mettermi in dono, a lasciarmi amare e a vivere di cielo fin da ora.
Il giorno della professione perpetua è stata un’esperienza di libertà in cui lasciar fare a Dio quello che non volevo e non potevo controllare, in cui farmi avvolgere da una Chiesa che è madre e sorella di cammino, in cui fidarmi che nelle ombre della vita c’è sempre la forza della Sua luce. E’ stata un’esperienza di appartenenza orgogliosa e piena alla famiglia delle sfp, in cui sperimentare in modo potente e sempre più consapevole, il mio essere povera, libera e nuovamente amata.
Sr Roberta Sommaggio, SFP